Il piacere sadomaso segue regole precise: il consenso tra Slave, la persona sottomessa, e Master, il Dominante. L’esperienza e la responsabilità. La parola in codice con la quale si può interrompere il gioco in ogni momento. Elena, una donna in cerca di emozioni (e non del principe azzurro), racconta come ha capito di essere una schiava. E perché tra Anastasia e Mr Grey non può funzionare.
Lui: «Che cosa provi?». Lei: «Mi sento finalmente libera». Lui è un Master, un «padrone», lei una Slave, una «schiava». Uno scambio che per molti può non avere senso. Ma ce l’ha per Elena, che da quindici anni pratica, nel ruolo di «sottomessa» rispetto a un Dominante, il Bdsm (per noi profani: bondage, dominance, submission, sado-masochism). Ci incontriamo a Verona, città degli innamorati, alla vigilia di San Valentino. Del resto, proprio questo periodo è stato scelto per l’uscita di Cinquanta sfumature di nero, sequel di Cinquanta sfumature di grigio, tratto dalla fortunata saga erotica che E.L. James ha dedicato a questa «variante dell’amore»: si vede che i frustini hanno affiancato le rose. Export sales manager di una grande azienda, 45 anni, capelli mori, Elena è bella, elegante, ironica abbastanza da ammettere, con un sorriso, che i pochi amici al corrente della sua vita segreta la considerano una donna perversa. E serenamente allineata alla frase del Marchese de Sade: «Se la natura disapprovasse le nostre inclinazioni, non ce le ispirerebbe».
È appena arrivato al cinema Cinquanta sfumature di nero. Che cosa pensa della storia di Christian Grey e Anastasia Steele?
«Non è credibile. Se lei non accetta la natura di lui, non possono stare bene insieme. Ed è assurdo che lui acconsenta a praticare solo il sesso “normale” per amore, perché il Bdsm è un’espressione dell’Eros: rinnegarlo significa rinnegare se stessi. Piuttosto, una vera storia Bdsm è quella di Twilight. Edward il vampiro è a tutti gli effetti un Dominante, e Bella lo vede per quello che è. Sa che potrebbe ucciderla, ma sa anche che la proteggerà sempre: il loro è un grande amore perché c’è fiducia totale. La vera tensione sta nel gioco di ruolo, non necessariamente nella pratica sessuale. Oggi che Cinquanta sfumature ha sdoganato un’idea superficiale di Bdsm, spuntano ovunque Master e Slave improvvisati, che pensano bastino due sculacciate e qualche sex toy. Ma è una finta libertà sessuale imbrigliata in un brand, non un vero e libero percorso personale alla ricerca di sé».
Ci racconti il suo, di percorso.
«Sono cresciuta in una cittadina di provincia del Nord Italia, in una famiglia borghese preoccupata solo di guadagnare e di salvare le apparenze di un ardore religioso ipocrita. Mia madre era una spietata manipolatrice di affetti. Ma quando vivi in un ambiente così rigido e disciplinato, con intere giornate trascorse in solitudine, in qualche modo ti arricchisci: osservavo me stessa e gli altri, e leggevo. Due libri sono stati determinanti: L’amante di Lady Chatterley, di D.H. Lawrence, e Niente e così sia di Oriana Fallaci, da una parte la descrizione dell’erotismo, dall’altra la sofferenza. Fin da piccola ho capito che il mio rapporto con il dolore era diverso da quello degli altri. Non lo temevo, non piangevo, volevo anzi sentirlo, chiusa in un mondo tutto mio, e vedere fino a che punto potevo arrivare: c’è un picco altissimo, che sembra insopportabile, superato il quale non senti più nulla, e anzi stai bene e provi sensazioni fortissime. Alla fine ho capito che ero masochista. Ma al mondo Bdsm sono arrivata molti anni più tardi».
Come?
«Sono cresciuta, mi sono sposata. Non per amore: ancora oggi non so bene che cosa sia l’amore per un uomo, conosco quello incondizionato per i miei figli, ma con gli uomini ho provato solo passioni molto forti. Non con mio marito, comunque. L’ho scelto solo perché mi sembrava adeguato, perché mi ricordava mia madre: manipolatore, rigido, frustrato, nascosto dietro una corazza di valori autoimposti. Sembrerà strano, ma la svolta è arrivata guardando una trasmissione in Tv. Si parlava di un viaggio a Cuba che veniva descritto come un’evasione da tutto, dalle istituzioni, dai valori. Sono come entrata in trance, mi è scattato dentro un desiderio di fuga, e in pochi giorni ho chiuso il mio disastroso matrimonio. Mi sono ritrovata sola, con due figli da crescere, il lavoro da riprendere, e la voglia di appropriarmi finalmente della mia libertà».
Ma come è diventata una Slave?
«Per caso. Durante una riunione di lavoro, mi sono trovata a fare da interprete a un dirigente molto affascinante, dai modi distaccati. A un certo punto gli è caduta a terra la penna: mi ha fissata con uno sguardo ipnotico e mi ha ordinato di raccoglierla. Mi ha colpita come un fulmine. Avrei potuto ribellarmi, ma ho sentito il bisogno di essere sottomessa, di compiacerlo. Lui mi ha ringraziato, mi ha detto che in poche l’avrebbero fatto, e che ero speciale. Non è successo altro, ma è stata una folgorazione. Mi sono avvicinata agli ambienti Bdsm su internet e, chattando con un Master, ho capito che io, da sempre, volevo essere una Slave: una persona che si dedica totalmente a un Dominante, ma che lo fa soprattutto per dare piacere a se stessa. Non una serva, ma una serva che si dedichi totalmente al compito che le viene assegnato, e quanto più è vero e profondo il piacere che prova nel farlo, tanto più intenso lo sarà per il Master. Tra loro due c’è un’osmosi, e la magia sta nella consensualità. Altrimenti sono rapporti sbagliati, di manipolazione, di squilibrio».
Scusi ma fatico a concepire un piacere nel dolore.
«Nelle persone come me c’è. Inizia come fatto mentale, ma diventa fisico perché, quando i recettori del dolore superano una certa soglia, entra in circolo una quantità di endorfine capace di provocare un appagamento non paragonabile a quello dei rapporti tradizionali. È un fatto personale, così come è personale la soglia. Il Dominante deve avere esperienza e responsabilità: un Master improvvisato può essere pericoloso. Si tratta sempre di un rapporto consenziente, e c’è una safeword, una parola in codice per interromperlo in qualsiasi momento».
Una Slave è sempre masochista?
«Non necessariamente. Io stessa, dopo aver ricercato per anni il dolore fisico, oggi trovo più appagante la dominazione psicologica».
Con un Master come vi riconoscete? Dove vi incontrate?
«Di solito in chat, ma può capitare di riconoscere un Master anche in contesti “normali”. Ha sempre certe caratteristiche. Deciso, diretto, non ha paura di sostenere uno sguardo, non dà spiegazioni, è abituato a gestire il potere e lo stress, spesso ha un lavoro importante. Può vestire elegante o casual, ma risulta sempre a proprio agio, mai fuori posto. Non è frustrato, non parla molto di sé. E mi riconosce come Slave, penso, perché fin dal primo incontro non gli do l’impressione di volerlo regolare o limitare».
Un maschio alfa?
«Diciamo orgoglioso della sua mascolinità – così come io sono orgogliosa della mia femminilità – ma come ruolo più che come ostentazione. Per esempio, se al ristorante lui vuol fare alla romana, è un Master fasullo. Un vero Dominante ti protegge, ti accudisce, nell'organizzazione dell’appuntamento si occupa di tutto lui. Tu devi solo concentrarti sulla preparazione – a volte inizio giorni prima – e soddisfare le sue richieste: un trucco, un profumo speciale, un dettaglio nell'abbigliamento».
Per esempio?
«Il reggicalze con le calze in seta, il corsetto. Una volta mi è stato detto: voglio solo le scarpe. Le scarpe sono importanti, però bisogna saperci camminare bene».
Si può avere un fidanzato o un marito e contemporaneamente un Master?
«Si può, ma non fa per me, io mi dedico a un uomo per volta. Lui, in compenso, può essere libero o sposato: non cambia, per quanto mi riguarda. Accetto anche storie parallele da parte sua, purché me le racconti: non mi dà fastidio se mi rende partecipe. Non ero gelosa neppure da sposata, del resto: mi sono arrabbiata per il tradimento di mio marito non per il fatto in sé, ma perché non me lo aveva detto. Da un uomo cerco complicità, detesto mentire e detesto che mi si menta».
Può capitare di innamorarsi?
«Io cerco emozioni, non principi azzurri. La mia famiglia sono i miei due figli, ho un lavoro impegnativo, non c’è posto per un uomo. Forse una storia d’amore tra Master e Slave potrebbe funzionare se entrambi riuscissero a essere autentici e a non nascondersi nulla, senza gelosie né ricatti, ma dove sono gli uomini così? Anche quelli che parlano di coppia aperta alla fine vogliono decidere con chi devi stare e con chi no. Meglio, allora, rimanere dentro la bolla che ci creiamo intorno con i nostri ruoli. Un legame emotivo si sviluppa, ma solo nei confini di quell’ambito, poi ognuno torna alla sua vita: non ci penso nemmeno ad andare con lui a far la spesa, o al cinema. Non ci uscirei tutti i giorni, neppure gli racconterei quello che mi accade nel quotidiano. Capita di telefonarsi, certo, e di scambiare messaggi. Con i miei ex Master ho anche mantenuto un rapporto di amicizia: in fondo sono i soli a conoscermi davvero».
Quanti ne ha avuti?
«Due importanti: con gli altri erano solo giochi erotici. Ora ne ho uno, ma è ancora in prova».
Qual è la prova più difficile che un Master le ha inflitto?
«Guardi che la Slave non è una povera disgraziata che si lascia usare come posacenere e tirare al guinzaglio. O meglio, può farlo, ma solo se è il mezzo per superare un blocco e poi evolversi. Una volta, per esempio, il mio Master mi ha pubblicamente legata e fustigata in un locale. Sono l’opposto dell’esibizionista, e pensavo che sarei morta per l’imbarazzo, ma lui ha scelto il modo e il tempo giusti. Mi ha bendata prima, solo alla fine mi ha permesso di vedere il pubblico, e vedere il loro apprezzamento, sapere di aver superato un mio limite mi ha riempito di orgoglio. Come quando, da claustrofobica, sono stata rinchiusa per 24 ore in una gabbia. Ho incontrato i miei fantasmi, affrontato le mie paure e superato la claustrofobia: oggi non ne soffro più. Non ero stata abbandonata, il Master mi era sempre stato accanto, e alla fine mi ha premiata. Come un coach speciale: capisce chi sei, ti protegge da te e dagli altri per plasmare la tua esperienza. La prova più dura per me, però, la devo ancora superare».
Quale sarebbe?
«Parlare in pubblico, davanti a mille e più persone, per un’ora intera. Cerco un Dominante che me lo ordini, e che mi liberi dalle mie inibizioni».
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